Licenziamenti e Covid-19: il divieto di licenziamento

A causa dell’immediata chiusura di quasi tutte le attività commerciali dovuta all’incontrollabile diffusione del Covid-19, numerose aziende si sono trovate a dover fronteggiare una crisi economica improvvisa, non prevedibile e soprattutto difficile da arginare.
Tenuto conto del fatto che in questi contesti di difficoltà una delle prime soluzioni che possono saltare all’occhio sia il licenziamento, è intervenuto con grande tempestività il Governo Italiano che, con il Decreto Cura Italia n. 18/2020 prima e con il Decreto Rilancio n. 34/2020 dopo, ha sancito il divieto di licenziare durante l’intero periodo di emergenza.

IL LICENZIAMENTO, NOZIONE E NORMATIVA ORDINARIA
Il licenziamento è la modalità di recesso dal rapporto di lavoro che viene attuata dal datore di lavoro nel momento in cui decide di estromettere uno dei dipendenti dall’azienda.

In virtù della posizione di evidentemente debolezza del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, perché questa forma di recesso possa essere considerata legittima è necessario rispettare alcuni criteri:

  • La giustificatezza (giusta causa o giustificato motivo);
  • La forma scritta;
  • La motivazione della scelta.

A riguardo di quest’ultimo punto si distingue il licenziamento disciplinare e il licenziamento economico:

  • Si fa riferimento al primo quando il lavoratore, nello svolgimento della sua attività lavorativa, viola i doveri derivanti dal rapporto con il datore di lavoro. In questo caso, dunque, il licenziamento assume la forma di una sanzione erogata al termine di un contenzioso disciplinare;
  • Per quanto riguarda il secondo invece, non dipendente in nessun modo dalla condotta del lavoratore ma bensì da esigenze economiche, tecniche ed organizzative che possono riguardare una determinata postazione lavorativa o addirittura un intero ramo o ufficio dell’azienda.
    In questa seconda ed ultima categoria di licenziamenti, la legittimità dipende da:

    • Una precedente e preliminare valutazione di reimpiego del dipendente in un’altra attività;
    • Il rispetto del principio di buona fede nella scelta;
    • Il fatto che il datore di lavoro non abbia strumentalizzato il licenziamento per un mero incremento del profitto.


IL LICENZIAMENTO NELLA DECRETAZIONE D’URGENZA

Come già detto, le aziende in questo periodo di difficoltà economica si sono trovate da un lato a dover fronteggiare con notevoli difficoltà il mantenimento della propria azienda e dall’altro a cercare di gestire i propri dipendenti attraverso la fruizione di ferie e di ore di permessi.
Per offrire loro sostegno il Governo, tramite la decretazione d’urgenza, ha cercato di arginare questi problemi garantendo sia fondi a sostegno delle imprese sia tutele a garanzia ai lavoratori in difficoltà.

Un primo passo in questo senso è stato compiuto con il d.l. n. 18/2020, entrato in vigore il 17 marzo, il cui art. 46 stabilisce:

  • il divieto di licenziamento collettivo e/o individuale per giustificato motivo oggettivo sino al 16 maggio 2020 e
  • la revocabilità di quelli effettuati nel periodo intercorrente tra il 23 febbraio al 17 marzo 2020 a condizione che sia richiesta la cassa integrazione salariale a partire dalla data del licenziamento.

Tuttavia, l’art. 46 non trova applicazione:

  • per le dimissioni;
  • per l’apprendista per compimento del periodo formativo;
  • durante o al termine del periodo di prova;
  • per il rapporto di lavoro domestico;
  • per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Una piccola modifica è stata apportata dalla legge di conversione n. 27/2020 con cui è stata prevista la non estendibilità del divieto al personale impiegato in un contratto di appalto che sia stato poi nuovamente assunto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore in forza di legge, di Ccnl o anche di una clausola del contratto di appalto.
Il 19 maggio, viene emanato un nuovo decreto, il c.d. Decreto Rilancio n. 34/2020 che modificando l’art. 46 del Decreto Cura Italia, stabilisce:

  • che il divieto di licenziamento così come la sospensione delle procedure di licenziamento, prima previsti sino al 16 maggio, è prorogato per ulteriori 60 giorni cioè sino al 17 agosto 2020.
  • attraverso l’introduzione del comma 1 bis, viene data la possibilità al datore di lavoro che abbia comunque proceduto a licenziare i propri dipendenti, di revocare il recesso a condizione che faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale decorrente dal giorno del licenziamento.

È opportuno sottolineare che, accanto alla cassa integrazione ordinaria (Cigo), è anche previsto il ricorso ad altri ed ulteriori ammortizzatori previsti per l’emergenza Covid-19 tra cui l’assegno ordinario fondi bilaterali (Asso) e la cassa integrazione in deroga (Gigd).


LA PAROLA ALL’ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO
Sulla questione è intervenuto anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 298 del 24 giugno. L’Ente, richiamata la portata generale dell’art. 46 del D.L. n. 18/2020, ha ritenuto che il divieto di licenziamento sia da intendersi valido per tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Da ciò deriva che debba essere ricompresa anche l’ipotesi di licenziamento per inidoneità sopravvenuta alla mansione che ricordiamo deve essere conforme al principio di repechage secondo cui  il datore di lavoro deve sempre verificare la possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori a quelle precedentemente affidate.


COSA È PREVISTO NEL CASO IN CUI IL SUDDETTO DIVIETO NON DOVESSE ESSERE RISPETTATO?
I licenziamenti collettivi o individuali per giustificato motivo oggettivo disposti nel periodo di “blocco” sono nulli. Peraltro, vista la chiarezza delle norme circa il divieto, non si ritiene al momento ipotizzabile alcuna interpretazione limitativa.
Dalla nullità deriva perciò l’applicazione della tutela massima prevista dall’art. 18, comma 1, St. Lav., applicabile indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, secondo cui va disposta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (salva l’opzione in luogo della reintegrazione pari a 15 mensilità), oltre all’indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra, con un minimo di 5 mensilità, oltre ai versamenti contributivi previdenziali ed assistenziali.
La materia dei licenziamenti è piena di insidie, è quindi sempre consigliabile ed opportuno rivolgersi a degli esperti in modo da analizzare attentamente la situazione concreta e vagliare tutte le possibilità, per evitare di commettere passi falsi e incorrere in pesanti responsabilità.

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